Il crescere della dimensione aziendale comporta l’incremento dei soggetti che sono interessati al suo sviluppo nel tempo.
Questi soggetti sono definiti come portatori d’interesse e sono gli stakeholders.
L’azienda che è al centro di questi interessi
ha una duplice difficoltà da sostenere, infatti, essa deve tenere in piedi tutte le diverse categorie di stakeholders,
contemporaneamente, cercando l’equilibrio perfetto tra tutti i soggetti. Gli stakeholders sono classificati, in modo sintetico,
in interni ed esterni, in basse alla loro presenza all’interno dell’azienda stessa. Quelli interni sono ben definiti e sono i
proprietari, in altre parole chi investe risorse e che rischiano capitale nell’azienda e i dipendenti.
Questi ultimi a loro volta
sono divisi in due categorie: i manager, cioè i dipendenti di alto profilo, i quali rappresentano la struttura intermedia tra chi
governa l’azienda e i lavorati; e i lavoratori che sono interessati al buon andamento dell’azienda come garanzia di stabilità del
posto di lavoro. Tutti questi soggetti hanno interessi specifici nell’azienda. Invece i principali stakeholders esterni sono: le
istituzioni pubbliche e private; i fornitori di beni e servizi interessati alla solvibilità dell’impresa; i clienti; e infine l’intera
collettività, sia per l’occupazione sia per la crescita economica territoriale e nazionale che l’azienda tende a influenzare. Tra
gli stakeholders interni vi è un’ulteriore distinzione, che fa emergere la categoria degli stakeholders. Questa sottocategoria
identifica il portatore di un interesse specifico, ovvero, il portatore delle azioni, nonché l’azionista. La sua distinzione fra tutti
gli altri portatori d’interesse deriva dal fatto che è il soggetto che conferisce il capitale di rischio, ed è colui che ha il
principale interesse nella gestione dell’azienda. L’interesse principale e unico dello stakeholders è quello di ottenere profitti.
Gli interessi degli shareholders spesso non coincidono con quelli degli stakeholders né nel breve, né nel lungo periodo.
Questa divergenza fa riferimento a due teorie sviluppatesi nel tempo, la prima chiamata shareholders teory e l’ultima,
definita più recentemente, chiamata stakeholders teory. Per la shareholders teory l’azienda ha il solo dovere di fare profitti
e soltanto se consente di creare valore per gli azionisti, essa deve impegnarsi nel sociale. La conseguenza di questa teoria è
quella della formazione di una scala di priorità, dove vengono prima gli azionisti e successivamente in minima parte gli altri
soggetti interessati
Completamente opposta la seconda teoria più moderna, accolta dall’economia aziendale, cioè la
stakeholders teory, secondo la quale il raggiungimento del profitto si misura su almeno due dimensioni: quella
dell’equilibrio economico, tenendo tutte le categorie di stakeholders in equilibrio tra loro; e quella del consenso sociale.
L’azienda non deve render conto delle proprie attività solo agli azionisti ma deve bilanciare una molteplicità di interessi
propri degli stakeholders che la influenzano e sono a loro volta influenzati da essa.