Al datore di lavoro viene riconosciuto dall’ordinamento giuridico il ruolo di capo dell’impresa e, dunque, il potere di dare al lavoratore le direttive pratiche all’esecuzione delle mansioni e di stabilire le regole relative alla disciplina e all’organizzazione del lavoro.
Questo in quanto: l’art. 2086 cod.civ. stabilisce che “l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”; l’art. 2094 cod.civ. stabilisce che il lavoratore collabora nell’impresa “prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore” e l’art. 2104 cod.civ. stabilisce che il lavoratore deve osservare “le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.
Qualora il lavoratore violi le regole stabilite dal datore di lavoro potrà subire le “sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione e in conformità alle norme corporative” secondo quanto dettato dall’art. 2106 cod.civ..
il complesso delle regole sopra dette è stato ridimensionato dallo Statuto dei Lavoratori che, per esempio, ha limitato la scelta delle pene e ha previsto una particolare procedura a tutela del diritto del lavoratore di conoscere le contestazioni disciplinari e di potersi difendere da eventuali accuse infondate.
Dette accuse possono derivare dal Codice disciplinare dell’azienda che è costituito dall’insieme delle regole dettate dal datore di lavoro nell’ambito del potere di cui abbiamo detto.
Di solito, il datore di lavoro trae le regole di cui sopra dalla contrattazione collettiva se si è impegnato con le rappresentanze sindacali dei lavoratori. Qualora non si sia impegnato con dette rappresentanze sindacali può dettare regole diverse e originali.
Indipendentemente dalla circostanza che le norme aziendali siano derivanti dalla contrattazione collettiva ovvero siano originali e diverse, le stesse devono essere affisse presso l’azienda, pena l’impossibilità di poter esercitare il potere disciplinare.
Per quanto riguarda le sanzioni contenute nel codice disciplinare, esse sono il rimprovero verbale; la multa di importo pari a non più di quattro ore di lavoro; la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per non più di 10 giorni e il licenziamento disciplinare.
Importante per il lavoratore è sapere che l’art. 7, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori vieta di applicare sanzioni che provochino “mutamenti definitivi del rapporto di lavoro”. Per quanto sopra, il datore di lavoro non potrà comminare sanzioni che comportino il blocco dell’avanzamento di carriera oppure il declassamento. Mentre prima si sosteneva che il datore di lavoro non potesse comminare il licenziamento disciplinare, una sentenza della Corte costituzionale ha affermato che il datore di lavoro possa operare attraverso questa sanzione definitiva.
In ogni caso, trascorsi due anni dall’applicazione di una sanzione questa non potrà più essere tenuta in conto e, pertanto, il lavoratore viene completamente riabilitato.
Ciò significa che, se durante il periodo di due anni a partire dall’applicazione di una sanzione, il lavoratore subisca la comminazione di altra pena, questa aumenta perché la colpa è considerata maggiore.
Per quanto concerne il procedimento disciplinare (procedimento mediate il quale è comminata una sanzione al lavoratore), lo stesso è disciplinato sempre dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
In particolare, detto articolo prevede che il datore di lavoro deve contestare il comportamento del lavoratore per iscritto, salvo che non si tratti di semplice rimprovero verbale.
La contestazione deve essere specifica dovendo indicare il comportamento contestato, il luogo ed il tempo in cui è avvenuto nonché tempestiva e cioè effettuata in un ragionevole lasso di tempo dall’eventuale comportamento contestato.
Il lavoratore ovviamente avrà un lasso di tempo per discolparsi tanto che la sanzione comminata non potrà essere applicata se non decorsi cinque giorni dalla conoscenza della contestazione da parte del lavoratore.
Inoltre, il lavoratore che si sia visto comminare una sanzione può impugnare la stessa dinanzi l’Autorità Giudiziaria ovvero tramite convocazione entro 20 giorni dalla comminazione di un collegio di conciliazione e arbitrato.
È ovvio, infine, che qualora il lavoratore abbia impugnato la sanzione comminata dal datore di lavoro, la stessa rimarrà sospesa sino alla decisione o dell’Autorità Giudiziaria o del Collegio di conciliazione e arbitrato.